Rapper, berberi e vecchie signore: il popolo di Diana
Un muratore: "noi lavoratori facciamo il tifo per William come re". Volti e voci dalla folla in lutto: "E' stata ribelle e generosa, il simbolo degli anni Novanta L'amore della gente in un enorme tappeto di fiori.
Corriere della Sera, 3 settembre 1997
LONDRA - «Ehi "man". Vuoi sapere cosa ci fa qui uno come me? "Love", ecco perché. Lei era una dea dell'amore. E anche se noi "rapper" abbiamo una brutta reputazione, non siamo tutti violenti. Diana l'ho incontrata nel '90 in una discoteca di New Yor k. Avevamo scherzato. Amava la musica, era una di noi. E ora, "man", sono venuto a dirle "Dio ti benedica", "God Bless"». Al chilometro 2 della fila davanti a Saint James Palace, Elvis Ashu detto «House», 21 anni, scuote l'amuleto appeso al collo. «Diana amava l'Africa - si commuove -. Quando criticava le mine demoliva quei dittatori che le comprano. Come Mobutu e il suo alleato Savimbi, in Angola». Scarponi da montagna, tuta da ginnastica firmata e cinture dorate, Elvis e il suo amico Samuel, 25 anni, sono in coda tra le famigliole con passeggini e le casalinghe affrante. Un cartello piantato nell'erba lungo il Mall, il viale di asfalto rosso che fiancheggia la corte di San Giacomo, avverte: «Attesa stimata: ore due». Ma nessuno si lamen ta. Anzi. Tra sconosciuti piombati su questo serpente umano da ogni regione volano confidenze e chiacchiere di un'Inghilterra che ha scoperto all'improvviso i sentimenti. La coda è aumentata sempre di più, fino a notte, raggiungendo livelli inconte nibili. Al punto che tanto affetto ha finito, paradossalmente, per preoccupare le autorità: la folla al funerale di sabato rischia di essere tanto oceanica da creare serissimi problemi di sicurezza. Come hanno sottolineato i giornali del pomeriggio d i ieri. Elvis e Samuel, il primo musicista di New York e l'altro futuro avvocato di Nairobi, quando la noia diventa troppo forte si mettono a ballare mimando tamburi e trombe. La nonna in carrozzella davanti a loro, con i capelli tinti di azzurro, non batte ciglio.
Nella fila accanto una mamma allatta la figlia. Arriva la sezione di Bath di un ente assistenziale: quindici vecchietti vestiti uguali, con i panini fatti a casa infilati nei sacchetti di plastica. La poliziotta a cavallo, che ass omiglia a Camilla Parker Bowles quando fa la caccia alla volpe, li sgrida: «Uno dietro l'altro per favore». La fila si muove lentamente, sotto un cielo tornato azzurro. Il musicista Elvis, figlio del noto cantante rap americano Dr. Dre, è un nero a lto due metri, che è a Londra per registrare il suo settimo disco. Per lui «Diana era una ribelle, una generosa, una che faceva le cose in modo naturale e con il cuore. Ha simboleggiato la gioventù degli anni Novanta e noi porteremo avanti il suo lav oro». Il suo amico Samuel, che la sera balla in un covo di esagitati chiamato Brixton Academy, ripete le stesse Parola che l'Inghilterra profonda, con la sua incrollabile fede nell'importanza dei titoli nobiliari, ha detto davanti alla tivù: «Povera Diana. Non avrebbero dovuto toglierle l'HRH, l'appellativo di "Sua Altezza Reale". Che cattiveria». E' una strana folla, quella che ormai da 48 ore firma ininterrottamente le condoglianze. Una mamma piange, facendo scoppiare in lacrime anche la figli a di 5 anni. Qualcuno chiacchiera, altri si sono portati da casa le sedie pieghevoli come a un pic nic. Ma, come ha scritto il Guardian, il Paese è disorientato. E come in tutti i momenti difficili della sua storia ha fatto quello che l'istinto s ecolare gli ordina: si è messo in fila, pazientemente, come si insegna agli scolari per l'autobus. Trasformando l'attesa in una terapia collettiva, una sorta di rito tribale che scaccia i fantasmi del dolore nel tanto amato «rispetto delle regole». Non è, però, una manifestazione di «pantere grigie» borghesi. I ragazzi sono tanti.
E sono ancora di più quelli che, fino alla morte di Diana, consideravano la monarchia una barzelletta per turisti creduloni. Jeff, muratore a torso nudo e pantalonci ni corti, con tatuaggi pornografici e l'accento cockney delle periferie, è uno di loro: «C'è talmente tanta gente cattiva in giro, amico, che ho sentito il dovere di venire qui, per salutare una donna che era buona. Chissà cosa succede ora. Noi lavor atori facciamo il tifo per William». Intanto Elvis detto «House» e Samuel sono avanzati al cartello che dice: «Attesa stimata: ore una». Samuel, che ha un padre avvocato di successo a Nairobi ed è andato in una scuola privata di stampo coloniale, h a deciso cosa scriverà nel suo messaggio. E' una citazione di Shakespeare. «Mi pare che dica: "Qualcuno è grande. Qualcuno diventa grande. Qualcuno riceve la grandezza dagli altri". Diana, tu sei stata tutte e tre queste cose». Elvis ride. «Ehi "ma n", tu usi Shakespeare, ma io mi devo ricordare di scrivere un messaggio anche per conto di mio padre, che me l'ha dettato al telefono da New York». Qual è? «E' un segreto, è tratto dal suo prossimo disco rap». A un certo punto si sparge la voce ch e i ciambellani di corte hanno aumentato il numero degli albi delle firme da cinque a quindici, per ridurre i tempi d'attesa. Quelli di Bath esultano, mangiando panini. Due vecchi, lei completamente velata lui con una tunica lunga fino ai piedi, si m ettono in coda. Vengono da Tangeri, Marocco, e non sanno esattamente perché sono qui. Fatima Bishutu, 71 anni, la racconta così: «Siamo berberi. Nostro figlio vive qui a Londra e ci ha raccontato di questa Diana. Noi non la conosciamo. Ma quando muor e una principessa il popolo deve andare a dirle addio».