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Riccardo Orizio

Il giallo del singalese killer
A Colombo, in Sri Lanka, dove vive impunito il giovane che in marzo massacro' a Milano la sua datrice di lavoro

Corriere della Sera, 7 gennaio 1999

COLOMBO (Sri Lanka) - «Sì, l'ho uccisa io la dottoressa Grego. Quella sera ho perso la testa e l'ho accoltellata. E da quel momento non ho più avuto pace: tengo sempre una sua fotografia in tasca, la sogno ogni notte, prego per l ei e per la sua famiglia. Tutti i giorni vado al tempio, qui nella periferia di Colombo, e piango. Sono stato in pellegrinaggio al tempio della città di Kandy, dove è custodito il dente sacro di Buddha. Tornare in Italia? Non so, ho paura della prigi one. Ma ora che mio padre è morto di crepacuore, ci sto pensando. Le colpe si devono espiare. Ma voi in Italia avete la pena di morte?». Trema la voce di Pereira Sudath Nishanta, 29 anni, il domestico dello Sri Lanka che nella notte tra il 20 e il 21 marzo scorso ha ucciso con otto coltellate la cardiologa Erika Lehrer Grego, 62 anni, stimatissima dirigente della comunità ebraica milanese. Nella casetta del quartiere di Kottikawatha, in una Colombo colpita dagli uragani tropicali, l'ex maggior domo-modello si presenta vestito di bianco, il colore del lutto. Attorno a lui zii, parenti, la sorella, tutti che lo proteggono con sguardo comprensivo.

E alcuni monaci buddisti, avvolti nella veste arancione e con il capo rasato, che salmodiano in ricordo del padre di Nishanta, deceduto esattamente tre mesi fa. «In realtà la cerimonia è anche in onore della signora Grego, alla quale volevo così bene», si lascia scappare Nishanta, faccia da bravo ragazzo, pantaloni stirati perfettamente e una domanda che gli scappa di bocca ogni dieci minuti: «Non la troverò più una famiglia buona come i Grego, vero?». No, non la troverà più.

Nishanta è reo confesso, colpevole di un omicidio brutale, ma libero e - secondo le leggi dello Sri Lanka - non perseguibile perché il reato è stato commesso all'estero. Tra i due Paesi, inoltre, non esiste trattato di estradizione. E comunque la polizia srilankese sembra credere alla versione di Nishanta. Una versione che emerge dagli interrogatori fatti d all'Interpol a Colombo e dalle stesse Parola dell'ex maggiordomo, per tre anni impiegato nel bell'appartamento di piazza Repubblica della dottoressa Grego: «Ho perso la testa perché avevamo litigato. La signora voleva che mi fermassi a dormire, ma io mi ero rifiutato. E mi sono visto gettare in faccia dell'acido. Mi sono voltato di scatto e l'acido è finito sulla schiena». Pronunciate queste Parola, Nishanta alza la camicia bianca per mostrare una lunga cicatrice lungo le scapole. Nel cortile di casa, tra le palme da cocco, gli zii annuiscono. I monaci buddisti, seduti sulle stuoie per terra, sono concentrati nella preghiera. Ma il racconto di Pereira Sudath Nishanta contrasta con tutti gli atti giudiziari raccolti finora: la maglietta ch e indossava quella sera, per esempio, non ha una sola goccia di acido. L'ambasciatore d'Italia a Colombo, Maurizio Teucci, non ha dubbi: «Il gesto del buttare l'acido appartiene alla cultura popolare singalese: è ciò che fa, o faceva, la moglie quand o scopre il marito infedele. L'omicida, nel tentativo di cercare attenuanti, ha applicato al contesto milanese altoborghese della famiglia Grego i modelli culturali del suo Paese». «Sono sicuro che la polizia italiana ha trovato per terra una botti glia di ammoniaca», ribatte Nishanta con uno sguardo serio. Ma è l'ammoniaca usata per cercare di cancellare le macchie di sangue, come hanno stabilito le perizie. Nishanta conserva in una busta tutti i ritagli di giornale che parlano di lui. Ne è quasi orgoglioso. «Vede - dice - dappertutto dicono che sono un bravo ragazzo, che mi vestivo bene». E' vero. Ma la storia di Pereira Sudath Nishanta, in realtà, è la storia di un grande, tragico equivoco. Era sempre impeccabile. Sognava di diventare il figlio adottivo della propria padrona di casa. Una volta l'aveva abbracciata dicendole: «Lei è come la mia mamma». Ma non era mai riuscito a integrarsi. Niente fidanzate, niente amici.

Ora tra Italia e Sri Lanka si tratta sul suo futuro. La fam iglia di Pereira Nishanta però, fa quadrato. Esistono intercettazioni telefoniche, depositate in tribunale, nelle quali i parenti del domestico concordano tra di loro una trama innocentista basata sulla famosa cicatrice e addirittura su un'improbabil e relazione tra vittima e carnefice. «Tutte invenzioni. La follia omicida è scattata quando è stato sgridato perché, nonostante la gastrite, continuava a bere. Quella sera mia madre lo ha sorpreso con il vino del sabbath. Sudath ha ucciso mia madre usando due coltelli, di cui uno si è rotto. Poi l'ha lasciata in agonia per ore. E infine è fuggito. Io voglio solo che venga arrestato. Uno come lui non può restare libero», ripete Susanna Grego, figlia della vittima. Ma l'ex maggiordomo, per ora , è al sicuro. Vive a casa della sorella, in fondo a una strada fangosa. Ogni tanto lavora dallo zio, in un'agenzia telefonica dove gli abitanti del quartiere vanno a fare le fotocopie o a parlare con i parenti emigrati all'estero. Frequenta il tempi o buddista. «I monaci mi dicono di smettere di piangere», dice. Forse gli consigliano anche di consegnarsi volontariamente, perché quello è il suo karma, il suo destino. E lui, seduto nella veranda sotto le palme, chiede ancora: «Ma siamo sicuri che in Italia non avete la pena di morte?».

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