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Riccardo Orizio

Bosnia: il volo in Italia di Aladdin, l'angelo biondo con le piccole grucce

Corriere della Sera, 14 agosto 1995

BIHAC - Aladdin è partito con un gelato in mano. Suo papà teneva le grucce. Sanja aveva raccolto tutta la sua breve vita in una bellissima valigia dei sogni: la scatola di cartone del ferro da stiro comprato dalla mamma prima della guerra. Dentro tesori preziosi e struggenti: una ciabattina di gomma, una sola, quella del piede destro; uno specchietto, un rossetto nuovo, del cioccolato, una bambolina e un pettine di plastica. Li abbiamo portati via da Bihac così, tra le lacrime di chi restava e di chi partiva. Abbiamo pianto tutti, perché Aladdin e Sanja sono due bambini speciali, perché Bihac è una città speciale, perché la voglia di aiutare è scattata una sera a cena all'ambasciata italiana di Zagabria. «Prendiamoli subito con noi, sull'autobus dei giornalisti. Devono essere curati prima possibile in Italia, l'ospedale di Budrio ha già dato l'ok, le famiglie pure. Portiamo Aladdin e Sanja con noi». E anche quella è stata una cena speciale.

Aladdin ha 5 anni, Sanja 7. A entrambi manca una gamba. Sanja è stata maciullata da una granata sparata dai serbi, con i cannoni che fino a dieci giorni fa erano lassù sulle colline che circondano Bihac, il 17 gennaio del 1993. Era uscita per giocare con lo slittino sulla neve. L'ha vista arrivare dal cielo, pochi attimi dopo era per terra nella neve diventata improvvisamente rossa. Aladdin, un piccolo angelo biondo con gli occhi celesti, ha incontrato la sua bomba il 9 luglio del 1994. Anche lui stava giocando in un cortile con altri bambini. Suo zio l'ha raccolto da terra e l'ha portato in braccio dalla mamma, che aveva sentito l'esplosione ed era uscita di casa di corsa. Aladdin è timido e silenzioso. Sanja una chiaccherina con una frangia impertinente, che si colora le unghie di rosso con i pennarelli.

Li abbiamo portati a Zagabria ieri sera, guidati dal funzionario della Cooperazione italiana Marco Beci, lunghi anni di Africa alle spalle e barba da marinaio saggio. Beci seguiva l'autobus sull'auto fornita dall'ambasciatore Pensa, che ha ottenuto tutti i permessi in una frenetica domenica mattina. Erano in tre: i due bambini, divenuti celebri qualche giorno prima perché i primi giornalisti arrivati a Bihac li avevano trovati saltellanti e felici nelle strade della città, e il papà di Aladdin. Si chiama Abdullah, ha 27 anni ma ne dimostra venti di più e quando l'abbiamo avvertito che era ora di fare i bagagli ci ha sorriso come si fa con i bebè o con i matti e poi ci ha spiegato con dolce pazienza: «Mi dispiace ma non ho nulla da portare con me. Ho solo una camicia, quella che indosso. La stessa da un anno. Un solo paio di scarpe. Non ho più biancheria e in tasca ho l'equivalente di 500 lire. Io sono pronto anche subito».

C'era la fisarmonica, d'accordo. Abdullah, prima della guerra, la suonava ai matrimoni e alle riunioni dei partigiani. Ma quella è pesante e non può venire in Italia. «E poi tornate presto, vero?», gli ha chiesto tante volte Ista, sua moglie. Le abbiamo tutti detto una bugia; «Sì, prestissimo». E lei ha risposto, mentre allattava la piccola Asra, 7 mesi: «Io spero che Aladdin abbia una vita più felice in Italia, anche se non trova la lampada magica che rende tutto possibile. Chiedo solo che gli diano una nuova gamba, artificiale, in modo che possa giocare e correre con i suoi coetanei e non si senta emarginato». Ista è contenta, ma è anche disperata: «Siete venuti a prenderlo così presto, io credevo di potermelo godere ancora una settimana. Sta accadendo tutto così
velocemente. Siete sicuri?».

E' difficile rassicurarla, è difficile far finta di nulla. Basta sentire la sua storia per capire che in questo momento una famiglia si sta spezzando, se non per sempre almeno per un po'. «Non ci siamo mai separati prima d'ora, eravamo sempre insieme», sussurra lei, con quel suo volto pallido e affilato. Non glielo avevano detto che avrebbero tagliato la gamba di Aladdin. Il medico ha spiegato a Abdullah che non c'era alternativa alla cancrena. Lui ha accettato, ma non ha avuto il coraggio di dirlo alla moglie fino a quando il piccolo non è stato dimesso. «Da allora è cambiato, è diventato un bambino introverso. Sa di essere diverso dagli altri», dice Ista tra i singhiozzi. Gli ultimi momenti a casa Hodzi sono strazianti. Aladdin è in ginocchio, con il suo moncherino che fa perno sul pavimento. I soldati croati hanno fretta, bisogna partire. Mezza Bihac si raduna attorno all'autobus. Qualcuno allunga un sacchtto di plastica con i «viveri» per il viaggio: gomme da masticare, patatine, un'aranciata. Anche i vicini di casa sono arrivati. Volevano bene a Aladdin il taciturno. Il papà di Sanja, un ex commesso di farmacia, le dice: «Ti ricordi quando andavamo insieme sulla collina? Non piangere, tra poco ci torniamo insieme. Fra poco ti veniamo a trovare in Italia». Un'altra bugia a fin di bene: non ci sono i soldi. Forse gli italiani potrebbero aiutarli, basterebbero poche lire, ma per il momento resta un sogno.

«Vedi quella casa che brucia? Era di un serbo». Papà Abdullah si gusta questa piccola inutile vendetta dal finestrino del pullmann targato Zagabria che corre lungo l'ex Krajina, da una settimana terra redenta. Lui è bosniaco musulmano, in casa ha il ritratto del presidente Alija Izetbegovic e alcuni versetti del corano dipinti sugli specchi del soggiorno. Per il suo Aladdin è stata dura lasciare la mamma, la sorellina e la casa. Le amichette gli hanno detto ciao mentre sugli occhi gli scendevano due giocciolone di lacrime. Adriana, Mirela, Emina e tutte le altre bambine del caseggiato lo hanno aspettato fuori dalla porta.

«Ha gli occhi più belli del mondo», ha detto Emina, 11 anni. Si sono ricordate di quando era tornato a casa dopo l'amputazione. «Continuava a chiedere: ma dove è finito quel pezzo della mia gamba? Lo voglio rivedere». La sua «fidanzatina» ha le treccine ed è triste. «Quando gli chiedavamo di raccontarci della granata lui scappava. Non ha mai voluto dirci come è andata. Dopo i primi giorni ha sempre evitato l'argomento».Aladdin è sceso saltellando su una gamba sola dalle scale del suo pianerottolo. Ancora saltellando è salito sull'autobus, senza mai sorridere, serio e ubbidiente come un soldatino. A metà strada, a Karlovac, gli abbiamo comprato un gelato. Attorno a lui e a Sanja si è creata una piccola folla di curiosi e di fotografi. Il ghiaccio lo ha spezzato come sempre Sanja: «Ma allora adesso vedremo il mare? E nel mare ci sono pesci grossi?». Aladdin l'ha guardata e ha detto: «Io voglio già tornare a casa». Invece andrà all'ospedale di Budio, vicino a Bologna, che insieme ad altri enti locali ha offerto l'assistenza sanitaria. Aladdin dovrà essere operato e l'arto artificiale che verrà costruito dovrà essere cambiato molto spesso per adeguarsi alla sua crescita. Ieri sera Aladdin, Abdullah e Sanja hanno dormito nella residenza dell'ambasciatore Pensa a Zagabria. Oggi si metteranno in viaggio. Un colonnello dell'esercito croato, il capo della scorta militare che ha accompagnato l'autobus, dice: «Ormai i bambini di Bihac giocano solo con i kalashnikov di legno. Avete fatto un grande regalo a portali via. In Italia gli darete delle nuove gambe e spero anche una nuova vita lontana dall'odio». Aladdin ci guarda. Ha paura. Per lui è solo un grande salto nel vuoto.

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