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Il Diario
20 settembre 2002
Vite da dittatori: viaggio tra ex potenti, ancora cattivi
di Alessandro Marzo Magno
Diciamocelo: se non fossero dei maniaci sanguinari, talvolta cannibali, se non avessero sulla coscienza migliaia di vite umane e i bilanci degli Stati che hanno guidato, e consegentemente la miseria dei loro concittadini, questi ex dittatori sarebbero anche dei simpatici mattacchioni. Come Idi Amin che aveva fatto ribattezzare "Città del Capo" un'isolotto di fronte alla sua villa sul Lago Vittoria e lo faceva bombardare tutti i giorni per allenarsi alla conquista dell'altra Città del Capo, quella vera. O come Bokassa che per la sua incoronazione a imperatore del Centrafrica aveva voluto 60 Mercedes, 64 mila bottiglie di champagne, una marcia e un valzer imperiali appositamente composti, oltre a un reggimento di ussari a cavallo in divisa ottocentesca con l'unico compito di scortare il corteo imperiale. O il colonnello Menghistu che racconta di quando girava il mondo in cerca di appoggi per la sua Etiopia. Americani e cinesi gli risposero picche, mentre un sopraccigliuto Leonid Breznev gli disse: "Signor colonnello, eccetto la bomba atomica, il mio Paese è disposto a darle tutto ciò di cui ha bisogno".
E poi altri, ancora più patetici, come Nexhmije Hoxha, vedova di Enver, che vive in una cella, circondata da pile di libri e convinta che la sua Albania piena di bunker e di paranoie da invasione fosse infinitamente migliore di quella attuale.
O come Baby Doc che vive in Francia convinto di poter tornare da trionfatore nella sua Haiti o infine come Mira Markovic in Milosevic che quando parla con il suo maritino in prigione a l'Aia fa le vocine da bambina, ci manca poco che dica "pucci, pucci" e fa finta di niente quando le mettono sotto il naso una foto di Sarajevo assediata.
Questi sono i "diavoli" che ha incontrato, in tanti anni e in molti continenti, Riccardo Orizio, giornalista curioso che molti ricorderanno per Tribù bianche perdute, un viaggio tra gli eredi sfortunati del colonialismo.
Poi c'è un altro ex dittatore che più che un diavolo sembra essere un povero diavolo. Wojciech Jaruzelski che Orizio incontra a Varsavia in un freddissimo dicembre. Il generale era un dittatore, non c'è dubbio; ha messo fuori legge Solidarnos, il sindacato libero polacco. Ma, a differenza di tutti gli altri, non ha sulla coscienza vite di suoi compatrioti. O forse ne ha una, quella di padre Jerzy Popieluszko, ammazzato nel 1984 presumibilmente dai servizi segreti. Ma è difficile credere che ci sia stato un ordine in questo senso, più facile che sia stato opera di qualche agente più lealista del re. Quindi le parole di Jaruzelski sono credibili quando dice: "I rapporti con la Chiesa erano duri, di scontro continuo. Ma nessuno di noi avrebbe mai ordinato un omicidio di quel tipo". In ogni caso non si può negare che, senza il suo colpo di Stato, quei carri armati sovietici che i satelliti americani vedevano ammassarsi al confine, sarebbero probabilmente entrati in Polonia.
Alla fin fine, se un briciolo di simpatia deve andare a qualcuno dei protagonisti, è proprio per questo generale maliconico come un notturno di Chopin, che alla sua patria non ha nuociuto più di tanto (la dittatura c'era già, lui l'ha solo imbalsamata per un po') e che la storia ha abbandonato in un ufficietto di Varsavia dove riceve la telefonata di un altro ex, Michail Gorbaciov. Si fanno gli auguri di buon anno, non quelli di buon Natale. Sono comunisti e atei, che diamine. |