Talk of the Devil
Parola del diavolo.

La Nuova Sardegna
22 luglio 2002
Laterza pubblica «Parola del diavolo» del giornalista Riccardo Orizio di «Repubblica»
Sulle tracce degli ex dittatori
L'umile destino odierno di dieci potenti capi di stato
di Ernesto Massimetti
LONDRA. «Vive a Jedda, in Arabia Saudita, indossa sempre una tunica bianca, è un fervente musulmano, è protetto dalla locale colonia di africani. Malgrado l'età, conserva ancora velleità da atleta, frequenta le palestre di grandi alberghi, si rifornisce di continuo di cibi ugandesi. Malinconico ma coerente nel ruolo di ex capo di stato».

È il ritratto di Idi Amin Dada fatto da Riccardo Orizio, giornalista del quotidiano «la Repubblica», che ha appena pubblicato per Laterza «Parola del diavolo». Una decina di incontri con ex capi di stato, dittatori, ras dei cinque continenti che Orizio ha visitato nel loro esilio per nulla dorato. Un viaggio nella memoria, nella storia del mondo che è anche un itinerario per i diversi paesi che li ospitano e li proteggono. C'è la Jedda assolata dove vive oggi Idi Amin, ma anche l'Africa di Mengistu, oggi esiliato in Zimbabwe, c'è la Francia del visionario Baby Doc già presidente di Haiti, appassionato di riti vodoo e di pannelli solari. Giornalismo d'inchiesta, ottime fonti documentali, ma anche il respiro lungo del narratore, che Orizio aveva già mostrato con «Tribù bianche perdute», il suo primo libro.

«Non solo incontri in prima persona - spiega il giornalista - nel volume ci sono anche la moglie di Slobodan Milosevic, e la vedova di Henver Hodja, dittatore albanese. Quando è uscita l'intervista alla vedova di Hodja sul "Corriere della Sera", la polizia albanese mi ha arrestato. Hodja era stato rovesciato da Sali Berisha, già medico personale del leader sqipetaro. Difficile digerire un dittatore, difficile digerirne soprattutto l'ombra. Loro, - prosegue Orizio - "i diavoli" cui allude il titolo, sono visionari sopravvissuti, talvolta patetici talvolta coerenti fino alla fine. Molti, han trovato rifugio nel misticismo. Nessuno condivide le colpe che il loro paese e la comunità internazionale gli addossano».

Libro impegnativo, per nulla estivo. Perché l'ha fatto?
«Per anni, ho conservato in archivio due ritagli di giornali inglesi, con qualche scarna notizia su Idi Amin e su Mengistu, l'ex dittatore etiopico. Mi intrigava capire come la vita li avesse cambiati, quale fosse la dimensione di sconfitti dalla storia, dal destino, dalla politica internazionale. La curiosità si è ingigantita, sono riuscito a rintracciarli».
Come vivono?
«Il maggior errore che si possa fare è pensare a un esilio dorato: quasi tutti sono in povertà. Alcuni, prostrati dalla sconfitta, come Jean Bedel Bokassa. Prima di morire sosteneva di essere il tredicesimo apostolo del cristianesimo, trascorse gli ultimi giorni stringendo in mano un crocifisso donatogli dal Papa».
Il più umano?

«Probabilmente Jadek Jaruzelsky, l'ex primo ministro polacco autore del "golpe" militare negli Ottanta. Un aristocratico che aveva subito anche la deportazione in Siberia, ma che proprio in Siberia aveva scoperto la sua fede comunista e il suo amore per la Russia. Un militare tutto d'un pezzo, un generale oggi sottoprocesso per alcune vicende accadute nel'70. Jaruzelsky vive dimenticato a Varsavia, con la rendita della sola pensione. Molti polacchi lo vedono come un liberticida, l'affossatore di Solidarnosc. Lui pensa, probabilmente in buonafede, di aver risparmiato massacri al suo paese».
Chi ha rifiutato il colloquio?
«Noriega, ex dittatore del Nicaragua, soprannominato "Cara de pina" per via del viso devastato dall'acne. Oggi incarcerato. Non ho potuto incontrarlo ma mi ha inviato una lettera molto dignitosa, pubblicata nel libro».

C'è anche Mengistu: l'uomo che fece morire il Negus d'Etiopia, Hailè Selassiè...
«Vive in semilibertà in una fattoria nei pressi di Harare, nello Zimbabwe. E' dedito all'alcool, spesso picchia gli uomini che dovrebbero tutelare la sua sicurezza».
Un'inchiesta faticosa, anche un'idea in fondo balzana. Intervistare chi è per sempre fuori dal gioco...
«M'intrigava proprio questo. Fuori dal giornalismo d'agenzia, raccontare storie difficili da costruire, con un punto di vista diverso, fuori dal giro comune. Anche se nella vita degli uomini, come dei paesi, non si può mai dire...».