Lost white Tribes
Parola del diavolo.

LA NUOVA SARDEGNA
13 dicembre 2000
di Ernesto Massimetti
"Uno dei pochi esempi di giornalisti italiani in grado di superare la barriera linguistica": le parole sono di Riccardo Chiaberge, e spiegano almeno in parte il valore del lavoro di Riccardo Orizio. Trentanove anni, già giornalista del settore esteri al Corriere della Sera,oggi responsabile della redazione Cnn Italia ad Atlanta, Orizio debutta con "Tribù bianche perdute-viaggio tra i dimenticati" pubblicato in Italia da Laterza, (280 pagine, 25mila lire) ma uscito prima per la londinese Random House.

"Un libro che avevo pensato in italiano, poi tradotto in inglese - spiega Orizio- Al momento della traduzione, la mia agente mi ha consigliato di proporlo alla Random. Così è stato, con il titolo "Lost White Tribes". "Tribù bianche" non è un instant book, non è una sintesi di articoli apparsi sul "Corriere", non ha pretese di reportage definitivo o di verità geopolitiche. Racconta storie sepolte, che ho voluto tirar fuori dal tappeto della cronaca.

La prefazione è di un grande nome del reportage e dell'inchiesta, il polacco Ryszard Kapuscinski."Un giornalista italiano che pensa e scrive in inglese, che frequenta i classici della letteratura di viaggio, che ha pochi riferimenti nazionali: "Non per un atto di superbia, ma perchè questo tipo di reportage è da noi poco frequentato. Credo non si possa più proporre neppure il Moravia di "Passeggiate africane". Ci sono, è vero , rarissime eccezioni: una è Tiziano Terzani, l'altra, per motivi diversi, è Pietro Veronese."

Dunque, quali i modelli che hai seguito?

"I due fratelli Naipaul, Paul Theroux, Michael Ondaatje, sì, quello del "Paziente inglese", ma anche, per dire, Kuki Gallmann che è italiana. Poi, come scrittura, Ettore Mo e la regista Francesca Marciano".

Marciano fa' la regista...

"Faceva la regista, adesso scrive libri. Uno in particolare, racconta del suo amore "diviso" fra un bianco africano che fa la guida nei safari e un giornalista. Le due Afriche, quella della guerra vera, dei morti per fame o per carestie e delle insurrezioni e quella da depliant patinato spesso si sfiorano ma non si toccano. Mi è piaciuta questa contraddizione che nel suo libro c'è".

"Tribù bianche " non è solo Africa...

"C'è l'Africa dei mezzosangue portoghesi in Namibia, i "busker" che vivono di fatto emarginati dai neri e dai coloni tedeschi. C'è la realtà incredibile ma autentica dei polacchi che abitano ad Haiti, discendenti dei soldati napoleonici. E poi i Burghers, eredi degli antichi commercianti olandesi a Ceylon e altre "tribu" ancora. Rimasugli di colonialismo, risacche della storia che oggi pagano il razzismo dei neri o dei popoli nativi emergenti. Questo tema dei razzismi nelle diverse versioni lo ho trovato attualissimo, lo vivo anche ora che abito ad Atlanta che al 70 per cento è una città nera . Forse, come europei, dovremmo lavarci da un senso di colpa eccessivo, rispetto ai popoli che vivono negli altri angoli della terra. E' vero che oggi la questione etnica resta fondamentale: la si può rovesciare anche a danno dei bianchi".

Giornalismo "on the road", grande documentazione, ma anche uno stile fortemente letterario.

"Il primo insegnamento credo resti quello di consumare le scarpe, di esser stato nei posti di cui si parla o si scrive. E poi c'è questa voglia di vedere l'attualità da un dettaglio particolare,in apparenza minimo, che però resta un "telling detail", un particolare che parla da solo. Le tribù bianche dimenticate sono questo, sono il telling detail di oggi , raccontano la lenta agonia del colonialismo bianco".

Quasi tutti i continenti sono raccontati, ma l'Africa sembra predominare . E' una sensazione esatta?

"C'è una passione mia personale. Ho lavorato per molto tempo nell'Africa nera. C'è quest'interesse che continuo ad approfondire. Per esempio, leggendo lo spagnolo Xavier Reverte. Ha scritto "Vagabondi in Africa".

Ci sarà un seguito al volume?

"Sì, sempre sul tema dei dimenticati, o dei perdenti, o dei dannati che poi tanto dannati non sono mai completamente. Una serie di ritratti a ex dittatori , despoti o potenti della terra. Alcuni li ho rintracciati in carcere, come Egon Krenz, ultimo capo comunista della Ddr, su altri sto ancora lavorando, per esempio Noriega. Mi interessa il lato umano di questi personaggi, ma anche il loro modo di archiviare il passato. Sono stati potentissimi, ora tutto è finito. Qualcuno fra loro l'ha capito e accettato, altri no".

Altri nomi?

"La vedova di Enver Hoxha, che ho intervistato in carcere a Tirana. Una donna a modo suo fascinosa. Poi, l'etiope Menghistu, il "Negus rosso", Idi Amin ex dittatore ugandese che oggi vive alla Mecca, Bokassa, Jean Claude Duvalier che abita in Francia. Anche figure meno note. Come Valentin Strasser: un giovane africano di 34 anni che oggi vive a Londra e fa' il barbone. Per incredibile che possa sembrare, è stato per alcuni anni, dittatore e signore del Sierra Leone".

Libri, reportage, televisione in giro per il mondo. Nostalgie italiane?

"Solo gastronomiche ".