Lost white Tribes
Parola del diavolo.

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Tribù bianche perdute è un libro che parte da un'idea insolita e demodé, ma magistrale.
Tribù bianche perdute è un libro che parte da un'idea insolita e demodé, ma magistrale. Perché in tempi in cui tutti guardano, più o meno preoccupati, alla pressione degli abitanti del Sud del mondo sul Nord affluente, Riccardo Orizio - il suo autore (giornalista prima al "Corriere della Sera", oggi responsabile della redazione di Atlanta della "Cnn Italia") - sposta il riflettore dall'altra parte, lo accende per così dire alla rovescia: su quei gruppi di bianchi dimenticati dalla Storia, discendenti dei coloni che lasciarono il proprio paese per tentare l'avventura dei nuovi mondi.

Comunità di bianchi rimasti a vivere tra le giungle o nelle savane dopo la fine delle diverse avventure coloniali, vere e proprie "tribù" dai visi pallidi - di origine olandese, polacca, francese o tedesca - ancorate ai loro ricordi, alle loro nostalgie, ai loro dei. "Insabbiate" tra deserti e montagne o (come dice Orizio, nel finale del suo libro) "ingiunglate", incapaci cioè o forse non interessate a tornare indietro, perché - dicono - "noi non siamo più di là, siamo ormai di qua", "non potremmo più vivere al freddo dell'Europa, avremmo nostalgia del calore e della luce dei Tropici".

Tribù bianche perdute è un libro che non si preoccupa tanto di spiegare, ma quanto di raccontare questi "mondi a parte", attraverso le storie personali, le vicende familiari, gli sconvolgimenti portati dal processo di decolonizzazione o dal progresso tecnico nelle vite di piccole comunità rimaste troppo bianche per identificarsi nel nuovo mondo e diventate troppo indigene per specchiarsi ancora in quello vecchio, "avanzi di un mondo vasto e ricco" come dice bene Kapuscinsky nella sua prefazione.
Ed è un libro di viaggio autentico, perché seguendo Orizio alla ricerca delle sue tribù, approdiamo in luoghi remoti, distanti da dove si decidono le cose che segnano il mondo: in Sri Lanka prima, in Jamaica e Guadalupa, ad Haiti e in Brasile poi e, infine, in Namibia.

Un giro del mondo un po' malinconico, magari, ma ricco di calore e umana simpatia. E se il viaggio è soprattutto un esercizio di diversità, questo libro - parlandoci con sensibilità dei bianchi e del loro specchio inevitabile, gli indigeni di volta in volta colonizzati e poi liberatisi - lo è doppiamente perché ruota intorno a gente con il colore della pelle sbagliato. Ed è per questo che lo consigliamo vivamente a chi vuole viaggiare, e perciò fare esercizio di diversità, insieme a un libro.